Io da grande volevo fare..

Io da grande volevo fare la maestra, poi la prof…
Perchè probabilmente rappresenta un ruolo che dà speranza. Le persone hanno bisogno di fidarsi e soprattutto di affidarsi. Il prof pensa, progetta, studia.. non solo i testi.

Il prof ascolta e ha la fortuna di poter avere…tanti punti di vista.
Il prof vede crescere, appassionarsi, vede talenti, vede disagi e.. ha la grande responsabilità della formazione delle persone che le sono affidate. Anche della formazione umana.
Il prof, come piace a me.. fa “venire il dubbio”. Fa venire il dubbio che una cosa sia importante. Non dà risposte, ma genera domande e fornisce strumenti perchè ciascuno raggiunga la sua risposta.

Credo che ci sia un modo più bello di vivere.. nonostante le difese che le persone alzano. Dalla crisi dell’euro alla crisi mondiale. Dalla paura di scoprirsi deboli, alla debolezza di sentirsi umani nel provare sentimenti (al di là della loro valenza neutra, argomento su cui l’ignoranza dilaga).

Credo che i vecchi i tempi “fossero sicuramente meglio”, e anche che “la mezza stagione se ne sia andata da un pezzo” dato che i grandi del mondo non riescono ad accordarsi nemmeno sulla temperatura esterna, di fronte ad un termometro che segna la stessa cifra.

Credo che sia inutile nascondersi dietro ai luoghi comuni, perché se vuoi veramente cambiare il mondo puoi solo cominciare mettendoti in gioco in prima persona nel tuo piccolo…parafrasando Seneca.

Credo che le parole in questo momento siano vuote e abbiano perso il loro fascino antico di significante e significato. Credo che le nuove tecnologie abbiano tantissime sfumature preziose,ma vedo anche che l’uso sbagliato di esse impera. Vedo ragazze e ragazzi di medie e superiori barricarsi dietro allo schermo fisico delle proprie paure spirituali, perche’ “sentire” significa essere deboli, mentre interfacciarsi via sms e via face book, ti consente di gran lunga di costruirti ad hoc una di quelle maschere perfettamente cucite allo stile di un Euripide.

Ho visto, nei giovanissimi, una totale mancanza di fiducia nel mondo degli adulti, per altro a ragione. Mi e’ capitato ti toccare con mano tutto questo di fronte ai ragazzi..bocciati, non sempre “giustamente”, se posso permettermi. Non dimenticherò mai il dolore di una amica 17enne. Non era tanto per la bocciatura in sé, ma nel sentirsi tradita dalla professoressa stessa che l’aveva accompagnata e rassicurata su un esito positivo del suo anno scolastico. Ero di fronte a lei quando la professoressa stessa al “ma prof.. mi aveva detto di stare tranquilla”.. ha innalzato il suo muro con un “l’ho fatto per il tuo bene”. Ma senza darne motivazione.

La motivazione. Il motore dell’agire e il metro nel cammino di maturita’ personale. Questo ho imparato su di me, con il prezioso aiuto delle persone della mia Equipe, nel cammino degli ultimi 8 anni come responsabile di educatori e ragazzi dell’ACR.
È la motivazione che conferisce autorevolezza. Tu, ragazzina, di 17 anni, non puoi capire le mie ragioni, ma io posso motivartele. E se ancora non ti sono chiare – possibile, c’e’ di mezzo il gap esperienziale – potrai fare tesori di queste motivazioni e comprenderle un domani. Ma il secco “l’ho fatto per te”, sa tanto si “tu non puoi capire, io sono piu’ grande faccio quello che voglio”.

Ecco allora, che io, ragazza di 17 anni, perdo ogni fiducia nelle guide che il sistema sociale mi propone e non perdero’ occasione di farmi valere sugli altri.
Un rischio troppo grande, mi permetta di dirlo, se vogliamo effettivamente proporre ai giovani un’alternativa valida al relativismo dei valori che un tempo erano assoluti (perdoni l’ossimoro).

Credo che la gente abbia bisogno di un po’ di speranza. Credo che abbia bisogno di credere in qualcosa, ma soprattutto che puo’ ancora fidarsi, nel fare la spesa come nel lavoro, nella vita quotidiana come nello sport. Credo infine che le persone desiderino nel profondo vedere che si possono guardare anche le cose dal punto di vista del bello e del vero, affinché un altro modo di vivere sia possibile.

Ho sempre desiderato “fare” (e qui non mi permetto di usare il verbo “essere” perché credo che nessuno sia all’altezza di definirsi Maestro) l’insegnante per tre motivi.

  1. inserire nella formazione della persona un confronto sulla “Comunicazione”, “Comunicare”, perché effettivamente è l’istinto primario che completa l’essere dell’uomo come “pensante”. Oggi tutti parlano nessuno ascolta, nessuno comunica. E ci si nasconde dietro all’uso sbagliato dei mezzi di comunicazione. E invece sarebbe bello sfatare la “difesa” del…”è sempre l’altro a non capire”.
    Chissà se mai diventerà materia di studio e laboratorio di umanità.
  2. ascoltare: credo di non avere nulla da insegnare (molto meglio di Socrate “so di non sapere”), ma ritengo sia fondamentale per la crescita della persona, imparare a cercare un confronto e soprattutto nella maieutica delle proprie motivazioni, che sempre meno l’uomo tende a dare.
  3. per stimolare i ragazzi al bello. Al bello della cultura, alla ricchezza del passato, che non serve per rifugiarsi, ma per scoprirne la preziosità… “fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e caunoscenza”. Perché vedo nei giovani la scuola solo come “dovere”, come “dover dimostrare”, con ogni sospensione di pensiero, che per me equivale alla spersonalizzazione dell’uomo.

Probabilmente, la mia, è solo una grande presunzione, nella speranza di poter ancora testimoniare che “le cose semplici sono le più belle”. E il bello, come insegnava Platone, risiede nel Vero. Nell’essere persone VERE.

Credo che tutto questo, oggi, anche nel mio lavoro, non sia possibile. E’ troppo alto il prezzo di essere persone vere e le persone non sono disposte a mettersi in gioco.
Forse le cose inizieranno a cambiare solo smettendo di tenere la testa sotto la sabbia.

Niente. Solo questa piccola riflessione.
Ho tante domande e il grande desiderio di smettere di stare a guardare.

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